Domenico Rea e il Garibaldi di d'Ambra Stampa
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Ricerche Storiche D'Ambra - Ricerche Storiche
Scritto da Domenico Rea   
Domenica 03 Luglio 1983 19:16

Domenico Rea e il Garibaldi di d'Ambra

Ho sempre sostenuto che in provincia c’è della gente mite che lavora con profitto senza aspettarsi nulla. Lo diceva anche Pasolini, che consigliava agli editori di andare a rovistare nei cassetti delle scrivanie di provincia. Ed ecco, fresco fresco, un nuovo caso: quello di Nino d’Ambra, ischitano di Forio. Nella sua casa da eterna illusione sovraccarica di libri, di opere rare, di opuscoli preziosi, in un gran silenzio arboreo, il tempo, che qua si è stabilizzato come in una straordinaria pausa dovuta forse alla laboriosità del nostro storico, non trascorre ma si ricicla sul risaputissimo Garibaldi, rivisitato in ogni piega e, incredibile, dopo gli oceani d’inchiostro versati sulle sue gesta, vengono fuori ancora, come dalla saccoccia di un prestigiatore, carte e cartuscelle inedite. Nel ponderoso libro di 598 pagine (+ altre 192 di illustrazioni f.t.), edito da A.G. Grassi - Napoli, vi è una grande quantità di notizie, sopratutto provenienti dall’altra sponda, il piatto forte dell’opera che ha, inoltre, il pregio di una sicura godibilità.

Viene analizzato l’intero arco di vita di Garibaldi. Ma d’Ambra approfondisce le parti della biografia coincidente con la presenza dell’Eroe a Napoli e nelle province meridionali.
Per la gran mole dei documenti raccolti, anche iconografici (trascritti con pazienza certosina e in buona parte riportati a stampa per la delizia dei fans garibaldini), è evidente che d’Ambra ha rovistato per anni biblioteche e archivi pubblici e privati, in Italia e all’Estero. Neutrale, neutralissimo egli dà spicco ai provvedimenti più significativi di Garibaldi durante il periodo della dittatura napoletana: il sussidio ai disoccupati; il blocco degli sfratti delle case di abitazione; la separazione dei carcerati già condannati da quelli in attesa di giudizio; l’abolizione del gioco del lotto a partire dal 1° gennaio 1861 (mai eseguita!)… Come dice Braudel: «Nessuno è mai riuscito a governare Napoli» e, secondo me, nessuno ci riuscirà mai!
Dai meandri degli archivi napoletani, ischitani e romani, d’Ambra ha tirato fuori, a distanza di oltre 120 anni, i nomi dei 12 killers inviati dai Bordone a Palermo per assassinare Garibaldi, e le congiure clerico-borboniche del 1863-64, proliferate all’ombra dell’Ortobotanico di via Foria con la pontificia benedizione di tre sacerdoti (scoperti e poi condannati a soggiorno obbligato), costruite su un inedito rapporto di polizia che, per la meticolosa accuratezza dell’indagine e del riferimento, rappresentano un vero spaccato d’epoca.
Viene riferito dell’Anticoncilio tenuto a Napoli nel 1869 dalla Sinistra Italiana - col sostegno e l’appoggio di Garibaldi - in contrapposizione al Concilio Ecumenico Vaticano I, che doveva sanzionare l’infallibilità papale e la messa al bando delle dottrine socialiste. Sono approfonditi con arguzia da scrittore di razza i motivi delle disavventure giudiziarie del Generale circa l’annullamento del suo matrimonio con la marchesa Giuseppina Raimondi (matrimonio, come si sa, rato e non consumato) e le conseguenti difficoltà di legittimare i figli Manlio e Clelia e di sposare la loro madre Francesca Armosino; nonché il tentativo (oh quanto è vecchio il mondo!) dell’on.le Salvatore Morelli d’introdurre, nella sua ultima proposta di legge sul divorzio (pensate, nel 1878! Quanta gente avrebbe recuperato la felicità! Anche se io ho molti dubbi sulla felicità), un articolo che poteva favorire Garibaldi.
Anche, e soprattutto, Garibaldi fu oggetto di scritti anonimi denigratori: un pamphlet, pubblicato addirittura a puntate nel 1879 con il titolo: «Garibaldi l’ingrato», con feroci attacchi di natura personale e familiare. L’assassinio, da parte di mano ignota, del presunto autore, offuscò parecchio, sia pure per qualche mese, la mitica bontà del personaggio.
Ma il «Garibaldi dalle cento vite in una» di Nino d’Ambra è un libro istruttivo e godibile anche per un altro abbondevole particolare:il grosso carico delle illustrazioni, specie satiriche. C’è un Francesco II di Borbone, re in esilio, trasformato in un capobrigante (cosa che era veramente) baciapile dall’incisore Antonio Manganare, che è uno spasso. Vignette a colori ed a pastello: «Les merveilles du chassepot» (i prodigi del nuovo fucile micidiale «chassepot») in cui viene mostrato il gaudio del vincitore (un sordido prete alla Don Abbondio) nell’assistere al trasporto dei corpi dei garibaldini nella fossa comune, dopo la sconfitta di Garibaldi a Mentana. Illustrazioni povere, educative, pedagogiche come quella che riporta un Garibaldi che dice a una Italia prona: «Concludano tutte le paci che vogliono, io non lascio la spada se prima non ti vedrò veramente libera» o quella atroce di Pio IX che ai piedi del Crocifisso impetra: «Signore, nelle tue santissime mani raccomando il mio diletto Figlio l’Imperatore d’Austria».
E il Redentore, un uomo robustissimo, uno scaricatore di porto affabile e incline alla buona compagnia, gli risponde: «Non possumus».
A riguardare quest’Ottocento garibaldino offertoci da Nino d’Ambra, lo si riscopre più che mai grondante di gran vizi e virtù: donne che andavano pudicamente al matrimonio già trapassate da altre spade; suore ribelli; sordidi preti e altri alati e, innanzi tutto, tanto senso e sentimento d’avventura e coraggio da vendere. E’ ovvio: si viveva nel popolo e non nel pubblico. La storia era uno strumento di conoscenza non uno spettacolo; e se non è spettacolo oggi non è nulla. Se Craxi o De Mita non rassomigliano ad attori, sono perduti. Non reggono il confronto con Pippo Baudo, il nume tutelare e benevolo delle nostre case.
Ma viene fuori ancora qualche altra cosa, qualche altra verità, dalla felice fatica di Nino d’Ambra, forse la più importante: il mistero attraverso il quale i moti d’indipendenza americani divennero Far West, imprese, avventure, piacere di vivere sul filo del rischio che perdurano fin nei nostri giorni e i nostri moti non meno nobili moti rimasti come anticaglie malinconiche nei secreétaires delle nostre nonne.

Domenico Rea
(“II Mattino” di Napoli, terza pagina, 3 luglio 1983.
“Afragola Oggi”, periodico, n. 11 del dicembre 1983; pagg. 3 e 7.
“La Provincia di Napoli”, n. 1/5 del 1984; pagg. 87-89.
“La Rassegna d’Ischia”, periodico,n. 9 del dicembre 1984; pagg. 15-17).

Ultimo aggiornamento Giovedì 07 Maggio 2009 18:18