Lo zoo: segni, colori e sogni di un micro-kosmo Stampa
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Ricerche Storiche D'Ambra - Ricerche Storiche
Scritto da Massimo Colella   
Venerdì 18 Settembre 2009 13:42

Lo zoo: segni, colori e sogni di un micro-kosmo

Percezioni profonde di un universo squillante e vitale.«COLORI DELLO ZOO». Cinquanta acquerelli di John Sutherland. John Sutherland ripone l’amata spatola per ricreare con il “vecchio” pennello, colori animali e vegetali in una endiadi che supera la divisione operata dalla Natura, per intrecciarsi in un gioco musicale e vibrante di forme e di colori.

Saper trasmettere attraverso un’arte informale ed antifigurativa, gestuale ed intuitivo-esistenziale, impressioni di vita e sensazioni coloristiche reali è per dir così un “gioco” affascinante e superbo ed anzi una “tèchne” ardua – nel senso pregnante e precipuo del termine greco – in cui riesce solo chi vivifica tale pragmatica capacità alla luce di una personale esperienza interiorizzata. E sono sensazioni coloristiche e impressioni di vita davvero ben rese quelle che John Sutherland, fondatore assoluto del Neogestualismo Esistenziale, fa vibrare, trasognate e autentiche, nei dipinti dell’affascinante e originalissimo ciclo pittorico che con altissima sperimentazione delinea uno sguardo profondo sull’universo squillante e vitale dello zoo: uno sguardo sì profondo, ma che però è anche immediato e volutamente epidermico, quasi a voler far intendere che si guarda alla superficie delle cose solo per poi (ma anche contemporaneamente e in simultanea) scavarne e scovarne il senso interiore riposto.
I “Colori dello zoo” – è questo il titolo che individua e delimita tale suggestivo micro-spazio dell’arte sutherlandiana – tracciano così, a ben guardare, non solo e non tanto uno sguardo umano, pertanto esteriore ed allotropo rispetto ad un universo che si presuppone e si conosce come avente leggi faunistiche e in generale naturalistiche sue proprie, ma tentano anche – per quanto sta nelle capacità di una percezione che nondimeno resta totalmente e naturalmente all’interno delle umane coordinate – di dipingere e ritrarre, descrivere ed anzi replicare quasi dall’interno il mondo straordinario che si legge visibile ed invisibile nella metamorfica congerie di forme vitali che si dimenano mosse susseguendosi e intrecciandosi nei giardini zoologici del mondo intero.
Ciò che si intende dire è che lo sguardo è sì esteriore perché tutto rivolto – come programmaticamente indicato dal titolo della serie – ad una percezione sensoriale esterna quale quella visiva, e specificamente alla percezione visiva-sinestetica dei “colori”, ma tuttavia la prospettiva è anche quella di chi tenta d’addentrarsi incisivamente nell’universo cromaticamente variegato dello spettacolo vitale offerto dall’ordinata natura degli allegri-scanzonati parchi zoologici. In altri termini, lo sguardo esteriore ed epidermico assolutamente concentrato sulla superficie cromatica e sull’amalgama fascinoso e metamorfico, inquieto e spettacolare, talora emozionante, dei “colori dello zoo” in realtà non fa che divenire non solo auscultazione interiorizzata di un mondo così particolare, ma addirittura mondo particolare esso stesso, reduplicazione cangiante del mondo naturale.
La sfida sembrerebbe barocca (l’arte che supera la natura: si pensi – nel capolavoro di Giambattista Marino, l’“Adone” – al canto dell’usignolo sopraffatto dal canto del poeta), ma non lo è perché a realizzarsi non è una contrapposizione, bensì una compenetrazione assoluta con le coordinate dinamico-esistenziali di Madre Natura stessa colta nell’universo pacificato e regolato del “microkosmos” di una porzione di mondo. E di questa porzione di mondo, prevalentemente su uno sfondo di assoluto biancore appena insidiato da venature per lo più rosate e violacee, il Gesto pittorico, inconscio nella sua consapevolezza, irrequieto nella sua fermezza, blocca ed appunta forme variegate (talora quasi in perfetta monocromia) che – pur bloccate – in realtà sembrano muoversi irrequiete, dotate – o almeno così pare – di una dinamicissima ed autonoma esistenza. Ma le forme, non direttamente leggibili, ma evocatrici di un mondo, i filamenti qui e là accennati, non sono che le macchie sapienti di colore che lo straordinario e magico universo dello zoo lascia di sé nel pensiero rammemorante dell’artista che torna bambino: non sono esse, cioè, a ben guardare, la reduplicazione stilizzata e in carta copiativa delle forme animali e vegetali che quell’universo popolano (non vi si possono vedere sembianze reali), ma sono impressioni di colore che emergono quale incrocio di cromie dall’intersezione pulsante e vibrante del panorama faunistico e di quello vegetale, in una mutazione di apparenze oniriche che rincorrendosi reciprocamente tracciano una scia di interscambi e movenze dinamiche. Il segno e la macchia divengono allora il mezzo operante di una ridipintura assolutamente personale di un microcosmo specifico e pulsante sotto il segno onnipervasivo di una dinamica e di una cromia solo parzialmente onirica, in cui a valere non sono tanto i riflessi e i fantasmi dell’inconscio, che pure talora sembrano affiorare, quanto quelli di una percezione operativamente attiva di un’impressione di mondo. Di un mondo incantato e fiabesco, incontaminato e a suo modo magico. E, talora, surreale.
(Massimo Colella, quotidiano “Il Golfo” del 17 settembre 2009,pag.27)

Ultimo aggiornamento Venerdì 22 Gennaio 2010 20:05