Roma: Matisse e Bonnard al Vittoriano di Roma Stampa
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NapoliNews - Arte
Scritto da Achille Della Ragione   
Mercoledì 10 Gennaio 2007 16:12

Roma: Matisse e Bonnard al Vittoriano di Roma

"Viva la pittura" scriveva Matisse a Bonnard su una cartolina, riconoscendo nell'amico la passione comune verso un tipo di arte che sacrificava il contenuto alla esplosione e alla gioia dei colori.
Così si chiama la mostra al Vittoriano di Roma, visitabile fino al 4 febbraio.
La vastità e l’importanza delle opere è tale che una struttura di soppalco si è ritenuta necessaria nel già ampio salone per potere apprezzare nelle migliori condizioni i due artisti affiancati nel percorso ricostruttivo di un ideale di esaltazione cromatica inseguito parallelamente, seppure reso, stilisticamente parlando, in modo diverso.

Entrambi longevi si formano a Parigi nell'ultimo decennio dell'Ottocento, dopo aver abbandonato gli studi giuridici intrapresi.
Henri Matisse (1869-1954) raggiunge la notorietà ed il successo, perchè diventa il caposcuola dei "Fauves", un movimento che invoca la priorità del colore, ne denuncia l'aggressività sulla tela, caratteristiche che insieme ad altri elementi confluiscono in una nuova concezione spaziale, in linea con le innovazione delle avanguardie del momento. Si forma all'ombra di Gustave Moreau, che lo accompagna al Louvre a copiare i grandi del passato e il disegno sarà fondamentale nella sua arte. Vedi l'"Odalisca seduta" in mostra, un piccolo capolavoro che nonostante il bianco e nero vibra di sensualità accesa. L'oriente ha influenzato il suo orizzonte pittorico notevolmente, Nizza con la sua luce mediterranea diventa la sua città di elezione, ne sposa i colori, ne vive il calore; sensibile al richiamo d'oltre costa parte per il Marocco, anche quando non è programmato il viaggio, perchè il suo ventre materno è lì, la sua musa ispiratrice magari si nasconde in una alcova tra le brume dei fumi oppiacei. La sua vita cambia in seguito ad un intervento chirurgico che gli toglie l'uso delle gambe paralizzandolo su una sedia a rotelle per i suoi ultimi 13 anni.
Inventa nuove forme espressive, si dedica al découpage. Lui che già aveva sondato tanti settori artistici. Creatore insaziabile, fratello minore del genio picassiano, disegna tappeti, in mostra ce n'è uno, illustra libri. Perfino la scultura, nella quale è guidato dall'insegnamento di Rodin, solletica il suo campo d'indagine figurativa e sempre la donna è il suo soggetto preferito.
Pierre Bonnard (1867-1947), viceversa, un pittore dimenticato da alcuni e sconosciuto a molti, è stato ultimamente rivalutato grazie ad una grande retrospettiva svoltasi quest’anno a Parigi, il cui titolo era: “Bonnard l’opera d’arte: una sosta del tempo”. Essendo di natura schiva e introversa, dipinge del suo giardino, per esempio, solo il vialetto di accompagnamento e la porta che dà su di esso, oppure, fissa sulla tela un piccolo scorcio di paesaggio marino tra due fanciulle che si parlano (vedi “La conversazione”). La sua sposa nella vita e nell'arte è Marta, nel senso che è la sua unica musa ispiratrice, gradualmente si trasforma in una presenza ossessiva, assurgendo a punto di riferimento indispensabile di tutta la sua arte: 384 opere la rappresentano, di cui 147 nudi. Diventa il cantore di Marta, sembra quasi che la spii nei rituali quotidiani. Resi sacri dalla reminescenza, essi attraversano   il desiderio, il sogno, l’inconscio e con tocchi e ritocchi, tinta su tinta, si armonizzano in un orizzonte di sfumature dolci, morbide e sensuali(vedi “Il sonno”). E' l'erede dell'intimismo degasiano, un intimismo che non è più studio freddo e razionale, come per il pittore delle ballerine, bensì viene trattato da un punto di vista prevalentamente decorativo. Bonnard faceva parte del gruppo dei Nabis, i profeti, così si chiamavano perchè annunciavano una nuova arte, quella che deriva da Gauguin e la scuola di Pont-Aven. Suo maestro era Paul Sérusier, ma è figlio anche del simbolismo di Maurice Denis. Anzi le atmosfere vaghe e vagheggiate di molti suoi quadri (vedi “Il melo in fiore”) fanno di lui un pittore proustiano, che dipingeva affidandosi esclusivamente alla memoria, in un anticipo di quel genere di decentrazione pittorica, dove il contenuto e i colori si disperdono in sintonia con il flusso rallentato della memoria. Bonnard tiene conto nella rappresentazione del soggetto innanzitutto del coinvolgimento interiore, cioè delle proprie sensazioni. Nelle sue opere aleggia il mistero che proviene da un rinvio costante a qualcosa di più profondo. L’intreccio dei colori confonde e impressiona l’osservatore. In questo si può considerare postimpressionista.
La serie degli autoritratti, due presenti in mostra, potrebbe forse indicare la sua continua interrogazione sulla pittura, contro le avanguardie e a dispetto anche di Matisse che finisce per distruggere il soggetto, Bonnard resta fedele alla tradizione, non lo abolisce completamente anzi lo rimaneggia di continuo e lo studia come oggetto della pittura e quindi superficie di colori.
E il rimprovero che gli faceva Picasso era proprio il non adoperare i contrasti, come invece fa Matisse, che con un tocco deciso separa l’iris dal fondo nero, dal ramo verde e dallo specchio; vedi invece come tratta lo stesso soggetto Bonnard: i fiori si confondono e non si distinguono.
Entrambi maghi della paletta attirano in modo differente: Matisse ci conquista subito, perché è immediato, di Bonnard ci s’innamora lentamente, perché è misterioso.
La visita alla mostra, guidata dall’autrice, costituirà sabato 20 gennaio la decima tappa per gli Amici delle chiese napoletane.

Ultimo aggiornamento Mercoledì 15 Agosto 2012 14:58